Rosario Caputo, amministratore IBG Spa, affianca ASSOBIBE contro la tassazione delle bibite

30 Ottobre 2019 - 04:35
Rosario Caputo, amministratore IBG Spa, affianca ASSOBIBE contro la tassazione delle bibite
I.B.G. fa parte di ASSOBIBE, l’associazione di Confindustria che rappresenta le aziende che producono e vendono bevande analcoliche in Italia e che su più fronti sta manifestando la ferma contrarietà all’eventualità di inserire in manovra tasse in grado creare serie difficoltà a un intero settore. Vi avevamo parlato della decisione del Ministero in questa news: La sugar tax ci sarà, ma solo sulle bevande. Lo scontento di Federalimentare. Oggi riportiamo la nota e il commento di Rosario Caputo, Amministratore Unico di IBG Spa.   Oggi, nella nostra azienda una ventina di dipendenti si dedicano alla produzione e commercializzazione di circa 5 milioni di litri delle famose bibite a marchio “Neri”: Aranciosa, gassosa, limoncedro e l’ancor più famoso “Chinotto Neri”; una delle prime e più celebri bevande analcoliche italiane nata negli anni ’50, la cui distribuzione avviene su tutto il territorio italiano ed è esportato fino in Australia. Brand oggetto, da parte nostra di un recente recupero dall’oblio commerciale e di un conseguente sviluppo supportato da importanti investimenti ed incrementi occupazionali.” “Gli incrementi dei costi con l’introduzione della sugar tax e della plastic tax rischiano di creare scenari di grave incertezza e difficoltà afferma l’Amministratore Unico, Rosario Caputo – soprattutto nelle piccole realtà tipiche della tradizione italiana.”  bibite zuccherate - soft drink10 cent/litro sui nostri prodotticontinua Caputo - significa un aggravio del 10%, in un momento di stagnazione economica su un segmento delle bibite zuccherate già in difficoltà. La tassa sulla plastica comporterà inoltre altri pesanti aumenti nei costi di approvvigionamento; anziché aiutare realtà ed eccellenze del made in Italy si rischia di mortificare chi fa impresa e depauperare il valore economico e sociale sul territorio”. È infatti incomprensibile il motivo per cui il Governo abbia deciso di focalizzarsi solo su un settore, colpendolo con due tassazioni molto pesanti.  Se da una parte il Paese ha bisogno di facilitare la crescita - e queste misure vanno in una direzione opposta - dall’altra è incomprensibile parlare di sugar tax quando si escludono tutti i prodotti contenenti zucchero, applicandola solo alle bevande zuccherate. Politiche fiscali discriminatorie rischiano di causare una contrazione delle attività produttive, dell’occupazione, del PIL: ciò significa minori entrate per lo Stato, oltre a un allontanamento degli investimenti dal Paese. Si tratta di una misura economicamente dannosa per un settore - fatto di piccole e grandi aziende, che genera valore e occupazione anche a livello locale - e contestualmente inefficace dal punto di vista della salute pubblica.  width=Le tasse sui soft drink zuccherati introdotte in Cile, Francia e Messico hanno tagliato di 1, 3 e 7 calorie al giorno l’apporto calorico complessivo dei cittadini (mediamente di 2.500/3000 calorie), effetti che si sono rivelati ininfluenti sui tassi di obesità che hanno continuato a salire. Il Ministero della Salute ha chiarito in questi anni che dove sono state introdotte tasse non si è “riscontrato nessun effetto diretto delle politiche di tassazione sulla prevalenza di obesità infantile” e che l’approccio fiscale è “privo di componenti educative verso sane abitudini alimentari”. Più precisamente, afferma David Dabiankov Lorini, direttore generale di ASSOBIBE,Si tratta di una misura economicamente dannosa occupazione anche a livello locale. Contestualmente è inefficace anche dal punto di vista della salute pubblica, considerando che, nei Paesi dove è stata introdotta, è risultata inefficace per la salute, tant’è che patologie come l’obesità ha continuato a crescere. È peraltro una misura che non trova motivazioni visto che da anni le vendite di bevande zuccherate sono in calo in Italia e che un consumo equilibrato non è un motivo di preoccupazione. Non si tratta di una tassa con effetti lievi, ma una penalizzazione di molto superiore all’aumento dell’IVA (dal 22 al 25.2%) che è sembrato assodato fosse una misura da evitare stante gli effetti depressivi”. 
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